C’era, una volta, Gene Tierney

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Di Valter Vecellio

 

In margine al Festival del Cinema di Locarno, che offre per quanti riescono a svegliarsi presto e essere in pista già verso le nove del mattino, anche se le proiezioni notturne sono durate fino a mezzanotte e più… In quel “margine” si ha l’occasione di vedere “retrospettive” ben curate, con pellicole ripescate in meritevoli cineteche specializzate nel restauro, come quelle di Bologna, Berna, Parigi…

E’ lì, in quelle “retrospettive”, che si possono vedere e scoprire film in elegantissimi “bianco/nero”, con attori di quella Hollywood che c’era una volta: quando il cinema è pellicola; quando non ci sono particolari effetti “speciali”, tutto è si basa sull’ “occhio” del regista, sulla solidità di una sceneggiatura, su attori che sanno recitare con raffinata, lungamente studiata, naturalezza; quando il regista è un abile artigiano attento al budget e… “buona la prima”, tempo e pellicola non vanno sprecati; quando le attrici sullo schermo sanno far sognare con un battito di ciglia, un accavallar di gamba, un’occhiata malandrina; quando, ditelo pure, si era più giovani, e anche più ingenui: lo sai benissimo che è tutto cartapesta e finzione, un mondo fasullo che dura un paio d’ore, ma ci vuoi credere ugualmente… Operazione nostalgia? E che c’è di male?

Questi vecchi film ripescati da cineteche che li conservano con meticolosa attenzione sono pieni di belle attrici quella Hollywood; chi è la più regina tra tante? Dite pure: Ava Gardner? Va bene. Poi? Ci volete mettere Lana Turner, Vivien Leigh, Maureen O’Hara, Lauren Bacall? Ma certo, metteteci anche Marylin Monroe… Chi scrive “sceglie” Gene Tierney. La ricordate? A chi scrive, vedere qui a Locarno una sua vecchia pellicola che “cigola” un po’, fa scattare dei flashback.

E’ già morta da tre anni, quando in un torrido pomeriggio passeggio nullafacente a Hollywood, assieme a un paziente operatore che poi va a morire in Somalia, attendo la finale che l’Italia di Arrigo Sacchi perderà con il Brasile; l’appuntamento è con una coppia di italiani fuggiti da Viareggio per non so quale truffa, e che poi hanno aperto in Rodeo drive a Los Angeles un locale che ha fatto fortuna, e ci vanno attori, produttori, gente di cinema, un po’ per noia un po’ per non morire, alla Ettore Petrolini. Un pomeriggio, pensate un po’, Eva Gabor, la sorella della più nota Zsa Zsa, protagonista con Eddie Albert di quei telefilm un po’ scemotti della serie “La fattoria dei giorni felici”… Eccola là che parlotta con Sylvester Stallone; e più in là uno sfatto William Shatner con evidente parrucchino che niente più ha del capitano Kirk di “Star Trek”, e neppure del sergente Hooker dell’omonima serie TV. Si passeggia lungo la “Walk of Fame”, e ci si imbatte nella “stella” Tierney…

Un ricordo nitido: la scena de “Il figlio della furia” di John Cromwell, del 1942: quel fiore tra i capelli, un pareo che le fascia fianchi e vita, un sorriso verso qualcuno, qualcosa che è fuori campo…

Americanissima di New York, non lo diresti mai che è la rampolla wasp di una famiglia che se la passa bene, il padre broker, la madre insegnante; una famiglia che le garantisce college di prestigio negli Stati Uniti e in Svizzera, e lei ancora ragazzina già incanta, un viso un po’ asiatico, gli occhi un po’ a mandorla, gli zigomi alti, pupille chiare, capelli scuri… Anatole Litvak, regista famoso (“I Dannati”, “L’equipaggio”, decine di altri film), la nota, ne viene a ragione folgorato, la mette subito sotto contratto. Così comincia la storia. Il primo film è un western con Henry Fonda: “Il vendicatore di Jess il bandito”, del 1940, diretta da Fritz Lang. Poi, tanti altri: “Il cielo può attendere” di Ernst Lubitsch; “Vertigine” di Otto Preminger; “Femmina folle”, di John Stahl, che le procura una nomination per l’Oscar; e ancora: “La via del tabacco”, di John Ford; “Il fantasma e la signora Muir” di Joseph Mankiewicz… fin quasi ai giorni nostri con “Tempesta su Washington”, ancora di Preminger. Un po’ della sua vita, delle fortune e anche delle inquiete vicissitudini, si può leggere nell’autobiografia “Self Portrait”. Nel 1991, settantenne, un enfisema polmonare la uccide.

Perché Gene Tierney e non le forse più belle attrici del suo tempo? Prendete Gene e affiancatela alla giovane Ava Gardner: certamente sarà quest’ultima a vincere… e invece no. Sarà perché Gene appare più fragile, o perché il suo muoversi in scena incarna le tante contraddizioni di una società uscita da una spaventosa guerra e che cerca di ritrovare un difficile equilibrio. Volete negare che alla fine il volto che maggiormente attrae è quello diciamo così più inquieto, attraversato da fugaci, incontenibili “ombre”? Mettetela come volete, ma lì nella “Walk of Fame” è stata Gene Tierney a farmi sognare per qualche minuto: tutte le altre, erano “semplici” stelle.

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