Ingrid Bergman, cento anni di sogno

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di Valter Vecellio

 

    Alzi la mano chi, almeno una volta non ha pronunciato, o sentito pronunciare “Play it Sam. Play As time goes by”, o “Round up the usual suspects”… Sì si parla di due delle più celebri battute dell’ancor più celebre “Casablanca”, il film di Michael Curtiz con Humphrey Bogart nel ruolo di Rick Blaine, proprietario, appunto a Casablanca, del “Rick’s Café Américain”; e Ingrid Bergman nel ruolo di Ilsa Lund Laszo; la storia del film la conoscete un po’ tutti, e qui poco importa. Interessa che un pomeriggio degli anni Sessanta la Bergman chiede a un ragazzo che “ronza” attorno alla figlia Isabella di accompagnarla a un cinemino dove proiettano appunto “Casablanca”. Possiamo immaginarlo, quel ragazzo, andare a vedere quel film, assieme alla protagonista, quella diva…Di fronte al suo stupore, la diva spiega: “Ti sembrerà strano, ma non l’ho mai visto per intero, quel film…”.

    Vero o incredibile che sia, la strana coppia va; e si arriva a una scena clou, quella dove Rick si rivela l’uomo che è stato un tempo, non il cinico e disincantato proprietario di un locale aperto a chiunque paghi, nazista o anti-nazista che sia, ma il militante che ha combattuto dalla parte giusta durante la guerra civile in Spagna, e quando l’Italia invade l’Etiopia. Nel bel mezzo della scena che ritrae i due, Bogart e la Bergman impegnati in un dialogo che vorrebbe essere drammatico, o comunque intenso, ecco che la diva scoppia in una risata soffocata a fatica. Sguardo interrogativo dell’accompagnatore, ed arriva la spiegazione: “Humphrey…com’era basso! Per essere alla mia altezza gli avevano messo una cassetta sotto i piedi, in quella scena…”.

   bergIngrid Bergman nasce a Stoccolma cent’anni fa, il 28 agosto del 1917. Famiglia borghese, infanzia solitaria, genitori che muoiono che è ancora una bambina, giovinezza malinconica, dicono le note biografiche. E ancora: “E’ una tenera, trepida, sensuale ragazza scandinava, ventenne parte dalla Svezia, alta, semplice, coraggiosa…”. Hollywood ne fa presto una diva: con il citato “Casablanca” del 1942; poi con “Per chi suona la campana” del 1943; e infine con “Notorius” del 1946, il famoso bacio con Cary Grant.

   Ben presto è l’incarnazione dell’ideale femminile: la bellezza che rassicura, lo sguardo in cui ti perdi, l’ingannevole impressione che di fronte a te ci sia una persona fragile, deliziosamente impacciata; a quante si inchina un giornale come “l’Osservatore Romano”? Il quotidiano vaticano rende omaggio alla sua bellezza: “…Quelle quasi impercettibili fossette sulle guance che hanno incantato e continuano a incantare, generazioni di spettatori…A quelle fossette s’inchinò anche Hollywood”.

   Bella, l’America. I registi e i produttori se la contendono; i critici la lodano, il pubblico l’adora, è la numero uno: l’erede di Greta Garbo. A lei, evidentemente, non basta: “Hollywood è artificiale. Mi sento un manichino”. Lascia tutto, eccola arrivare in Italia.

 berg1 Conosce Roberto Rossellini, classico colpo di fulmine, sodalizio sentimentale e artistico. Lei ha 34 anni, bellissima; cinegiornali e rotocalchi dell’epoca la ritraggono sorridente e spensierata mentre mangia piatti di spaghetti nelle trattorie romane o lungo il litorale di Santa Marinella; cinque film, con Rossellini, un matrimonio, tre figli; questo in sintesi il bilancio di quell’unione, che tiene per otto anni. Nel 1957 la separazione, lei si trasferisce a Parigi. Si divide tra cinema e teatro. Il tempo passa e anche su di lei comincia a lasciare qualche segno; non sembra farsene un gran cruccio: “La ragazza di Casablanca non c’è più, è venuto l’autunno, fra poco verrà l’inverno”, si limita a dire. Nel 1978 gira “Sinfonia d’autunno”, regia di Ingmar Bergman; l’ultimo suo ruolo è Golda Meir, “Una donna di nome Golda” di Alan Gibson, nel 1982. Da quel primo, lontano, film del 1932, “Landskamp” di Gunnar Skoglund, una cinquantina di film, diretta da registi come Victor Fleming, Georg Cukor, Alfred Hitchcock, Jean Renoir, Sidney Lumet, Vincente Minnelli; e Rossellini naturalmente. Malata di tumore, il 29 agosto del 1982, giorno del suo sessantasettesimo compleanni, muore a Londra. Cremata in Svezia, le ceneri sono sparse assieme a dei fiori sulle acque svedesi. Per il suo contributo all’industria cinematografica, la Bergman ha una stella nella “Hollywood Walk of Fame”. Poco prima di morire esprime il desiderio che il suo enorme archivio personale non andasse disperso. Desiderio rispettato grazie all’impegno dei figli e del regista Martin Scorsese, secondo marito della figlia Isabella. L’archivio si trova alla Wesleyan University, che custodisce anche gli archivi di Frank Capra e di Elia Kazan.

   Non è facile, e si rischia di essere riduttivi, a far bilanci di esistenze come quelle di Ingrid Bergman. Di lei si è scritto: “Lascia tre Oscar, tre mariti, quattro figli, dei nipotini, una vita vissuta con fierezza, segnata dal rifiuto dell’ipocrisia e dalla fedeltà a una natura passionale nascosta dietro un’elegante facciata. Più che una donna è stata una favola, ma non a lieto fine. E così sarà ricordata. Sempre, e comunque, fedele alla propria verità di donna. E sempre generosa nella vita. Come, al termine della vicenda con Rossellini, riconobbe Yul Brinner: “L’unico gentiluomo di questa storia – disse – è Ingrid Bergman”.

   E ora, come dice Rick: “ Here’s looking at you, kid”.

 

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