Le “congiure” di Palazzo

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Di Salvo Barbagallo

 

Sono una gran bella cosa le intercettazioni fra i potenti quando vengono pubblicate e, quindi, messe a disposizione dell’opinione pubblica: fanno conoscere, e capire, quanti e quali giochi si consumano per accaparrarsi, e fare proprio, il potere che è di altri. Questa volta è “Il Fatto Quotidiano” che scopre qualche piccolo segreto dell’ascesa del giovane Matteo Renzi nella stanza dei bottoni, sostituendo in malo modo il collega e “compagno” Enrico Letta il 22 febbraio dello scorso anno. E’ vero, sembra trascorso molto più tempo, ma sono soltanto 16 mesi che l’ex boy scout è alla guida del nostro Paese e di cose ne sono accadute tante e tante da indurre mezza collettività nazionale a disertare le urne, disgustata da ciò che la politica sta rappresentando in questo momento storico.

Nel servizio di Vincenzo Iurillo e Marco Lillo su “Il Fatto Quotidiano” è riportata una intercettazione, effettuata nell’ambito di un’inchiesta dei carabinieri del NOE sulla Cpl Concordia, alle ore 9.11 dell’11 febbraio 2014 su un cellulare intestato alla fondazione “Big Bang”. Un giorno significativo per Matteo Renzi: sta compiendo 39 anni. Il cellulare squilla e Renzi risponde alla chiamata. Dall’altra parte c’è il comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, all’epoca indagato per una sospetta fuga di notizie che sarà archiviato su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock. Non sono molte le “battute” telefoniche, sicuramente interessanti per comprendere fino in fondo quale “partita” c’è sul tavolo e cosa pensano i protagonisti che la stanno svolgendo:

AdinolfiRenzi (R): Signor generale!
Adinolfi (A): Mi dicono fonti solitamente ben informate che ti stai avviando anche tu verso una fase di rottamazione.
R: È la disinformatia del partito…
A: Come stai amico mio? Tanti auguri, tanti auguri e complimenti. Matteo, spero di vederti in qualche occasione.
R: Con molto, molto piacere. La settimana prossima sarà un po’ decisiva perché vediamo se riusciamo a chiudere l’accordo sul governo. E…
A: Rimpastino?
R: Sì, sì. Rimpastino sicuro. Rimpastone, no rimpastino! Il problema è capire anche… se mettere qualcuno dei nostri…
A: È lì il punto! O stare fuori, va bene?
R: No, bisogna star dentro.
A: Oppure stare dentro.
R: Stare dentro però rimpastone.
A: Significa arrivare al 2015.
R: E sai, a questo punto, c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico. Però
A: È niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti.

Sottolineano bene nel loro servizio giornalistico Vincenzo Iurillo e Marco Lillo                     “…In sostanza Renzi anticipa a un generale, non un suo consulente ma al limite un suo controllore, una strategia che nessuno ha mai svelato…”. Ma di cosa stiamo parlando? Neanche ai tempi dei Borgia, vorremmo aggiungere.

Il ventidue febbraio 2014, undici giorni dopo questa telefonata, inizia l’era Renzi a Palazzo Chigi. Nelle settimane precedenti il segretario del Pd aveva più di una volta rassicurato il capo del Governo Letta, fino alla frase scritta su Twitter il 17 gennaio 2014: “Enrico, stai sereno”…

Ma c’è anche un’altra intercettazione dal contenuto “scabroso”, ed è precedente, il 5 febbraio del 2014. Una intercettazione effettuata nel corso di un pranzo alla Taverna Flavia di Roma, protagonisti il vicesindaco (poi sindaco) di Firenze Dario Nardella, il generale della Guardia di Finanza allora a capo di Toscana ed Emilia-Romagna Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della Gdf, (si, sempre questo generale in primo piano!), il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco e l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti nonché presidente di Invimit, società di gestione del risparmio che amministra immobili pubblici ed è di proprietà del ministero dell’Economia, Vincenzo Fortunato. I carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio intercettano il colloquio con una cimice sotto il tavolo. Due le cose principali che i commensali discutono: la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Finanza da parte del morituro governo Letta. In questo contesto l’attuale numero due della Guardia di Finanza dice che il figlio di NapolitanoGiulio oggi a Roma è potente, è tutto”. Poi sembra dire che il capo dello Stato sarebbe ricattabile perché “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”.

A distanza di decenni appaiono giochi di ragazzi quelli portati avanti dai De Lorenzo, Borghese e quanti abbiano cercato di cambiare il corso della vita del Paese con altri sistemi. I “giochi” di oggi (d’altra parte, come quelli di ieri), gli italiani li conoscono soltanto quando c’è qualcuno che li voglia far conoscere, in caso contrario restano “misteri”. E di “misteri” l’Italia è costellata. Dal dopoguerra ad oggi la conquista del potere governativo è passata con gli inganni sulla pelle dei cittadini, della collettività nazionale. Il guaio è che chi dovrebbe pagare per i propri misfatti, nella maggior parte dei casi, la fa franca, appunto perché tutto rientra nelle “regole” del gioco.

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