La debolezza dell’Occidente la miglior arma per l’Isis

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isis-propagandaDi Salvo Barbagallo

 

Paradossalmente, è l’Occidente il miglior veicolo propagandistico dell’Isis e delle nefandezze che compie quotidianamente. Paradossalmente sono i mass media di questo mondo che l’Isis vuole cancellare, che danno (consapevolmente o inconsapevolmente)  ulteriore spinta alla prepotenza di una struttura violenta che si è autodefinita “Stato” (il “Califfato”), che (purtroppo) riesce ad affascinare e a soggiogare le menti fragili che hanno perduto i loro punti di riferimento certi. La “religione” è usata come strumento di contrapposizione per penetrare nella debolezza di una società che ha consumato i suoi valori da tempo, di una società che ha sacrificato quanto di meglio possedeva per gli interessi di pochi, quelli che a tutt’oggi mantengono un potere, quale che sia.

Due milioni di persone a Parigi hanno detto “No!” al terrore e alla violenza, ma quanti fra i cinquanta Capi di Stato presenti alla grande manifestazione avranno la volonta di decidere  “unitariamente” e senza conflittualità pretestuose quali mezzi si debbano mettere in campo per fronteggiare l’attacco “bellico” in corso in questo momento contro l’Europa e contro ciò che rappresenta? Le prime discordanze si sono già avvertite, gli interessi di parte frenano e ostacolano decisioni che è necessario prendere in tempi brevi. In teoria tutti solidali, nella pratica un caos d’opinioni diverse e contrapposte che rischiano d’indebolire qualsiasi ipotesi di reazione. Manifestare, scendere in piazza è sicuramente un atto di coraggio, ma è principalmente il sentimento della gente che si è espresso: la presenza di alti esponenti di molti Governi vuol dire tanto e non vuol dire nulla se non seguono azioni conseguenziali.

L’Occidente intero, se pur “confuso”, non può mostrare debolezza quando gli attacchi sono preannunciati (e fra l’altro “divulgati” dagli stessi mass media occidentali) con particolare virulenza che dimostrano come l’altra parte (quella che attacca) faccia ampio uso psicologico del terrore. Essere costretti a blindare un territorio significa essere in guerra in posizione difensiva, quasi a presagire una sconfitta: necessario far vedere che la paura non ha il sopravvento, ma l’imprevedibilità del terrorismo (anche questo è stato dimostrato) che passa fra le maglie della sicurezza, può dare scacco matto. Il termine “prevenire” dovrà essere parola d’ordine condivisa da tutti, così come dovrà essere la condivisione d’iniziative idonee a scongiurare pericoli noti e ignoti.

La sfida è aperta e senza quartiere. Che il Vaticano sia fra gli obbiettivi annunciati dall’Isis la dice lunga: si devono colpire i “simboli” di ciò che è l’Occidente, così come accadde nel tragico 11 settembre del 2001 a New York. E chiare appaiono le parole di Papa Francesco “La tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa nasce da una cultura che rigetta l’altro, recide i legami più intimi e veri, finendo per sciogliere e disgregare tutta quanta la società e per generare violenza e morte“.

Non esiste un paese a rischio zero“: lo ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, al termine del supervertice dell’antiterrorismo che si è tenuto a Parigi. “L’allerta è al massimo livello”. Ma Alfano, in altre circostanze, ha affermato che ci sono due milioni di migranti in Libia in attesa di dirigersi verso le coste della Sicilia e che ci sono 53 sospetti in Italia. La situazione è nota, ma quali idonee misure di sicurezza (sempre nella pratica) vengono prese per scoprire se ci sono (quantomeno presunti) terroristi fra i due milioni di disperati in attesa di un barcone che li porti nelle acque siciliane? La collettività attende risposte e non tentennamenti e, soprattutto, non vuole compromessi in nome di una “politica” dell’integrazione alla quale non crede.

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