Dove sta la CULTURA?

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arch_washington_square_summer_2013_3Di Guido Di Stefano

 

   Innanzitutto cos’è la vera cultura?

Potremmo definirla una conquista che si accompagna alle virtù (soprattutto interiori ma proiettate all’esterno) della libertà, della luce, della verità, della giustizia, della pace, dell’amore, della fratellanza, dell’uguaglianza, della tolleranza: insomma un bene dell’intelletto da difendere, coltivare, fare crescere senza sosta e senza remore. 

   “Sic stantibus rebus” (stando così le cose)  dove sta la cultura, quella dell’umanità, dei popoli, delle civiltà?

La risposta  si potrebbe così sintetizzare: dove ci sono uomini liberi saggi e giusti, anzi nell’animo di tutti gli uomini liberi saggi e giusti, capaci di metterla e mettersi al servizio dell’umanità. Non basta definirsi colti: occorre impegno, lavoro, intelletto ed amore per il bene e per  l’umanità e nel rispetto della Gloria di Colui che è Il Padre Unico, grande e misericordioso.

   Nessuno è sacro ed unico custode della cultura come nessuno lo è della verità. Tutti possiamo contribuire alla sua crescita e tutti dobbiamo partecipare alla sua corretta divulgazione da uomini liberi e di buona volontà (o se vogliamo di sani principi o di buoni costumi) pur in mezzo alle difficoltà ambientali: senza ipocrisie, senza riserve mentali, senza “stralci” fuorvianti, senza “attribuzioni” mendaci e chiamando il pane pane ed il vino vino.

   Nel piccolo e nel grande. Sì,  anche nelle piccole cose è importante la correttezza “culturale”. Una frase artatamente parzializzata può spingere alla reazione violenta; una citazione impropriamente attribuita ad altri (travalicando il tempo e lo spazio) può dissimulare la volontà di asservirne i contenuti ad interessi di bottega e rinvigorire sopiti risentimenti. Non si diffonde cultura così e neppure informazione e neppure minuta erudizione: è manipolazione delle genti e diffusione di venti di tempesta.

    E’ un vizio antico come l’uomo, coltivato tanto dai potenti dalle distorsioni tiranniche, quanto da chi aspira ad onori e compensi immeritati: annichilire la libertà (quella interiore più di quella fisica) avvalendosi di mezzi e mezzucci atti a manipolare e travisare cultura e verità al solo scopo di primeggiare.

    Per stare un poco insieme scorriamo alcuni esempi.

    Ci parlano sempre dell’Utopia della “Repubblica” di Platone: mai nessuno però ha ammesso che la stessa opera approfondisce gli effetti deleteri (allora come ora) della politica “populista” (spesso privilegiata in Italia e altrove).

      Custodi e “veri” interpreti dei testi più importanti dell’umanità si sono dilettati a privilegiare i passi che incoraggiano “l’indice accusatore” più di quelli dove si esalta “l’abbraccio misericordioso”.

     Non parliamo delle opere (o semplici detti) la cui paternità di recente qualcuno (folle o saggio?) ha messo in discussione. Già perché qualcuno comincia a pensare che anche nell’antichità si tendesse ad appropriarsi dei frutti dell’ intelletto di altri (magari deceduti in fase di qualche “esportazione”).

    Abbiamo già detto come l’estrapolazione di alcune parole del principe von Metternich dal contesto originale le rendeva decisamente offensive ed ancora ci chiediamo perché la citazione non è stata ancora riveduta e corretta:  forse a molti giova mantenere vivi e desti gli odi rinascimentali?

   Non vogliamo tediarvi e parliamo solo di qualche altra “vittima” illustre della parzializzazione e della menzogna.

   “Exitus acta probat” (il fine giustifica i mezzi) sentenziò Ovidio due millenni addietro: non fu Niccolò Machiavelli  (quindici secoli dopo) a scriverlo nel suo trattato “De Principatibus” (Il Principe) come con il viso iconizzato in un sorrisino ironico ci “spiegavano” alcuni padri di tante italiche deviazioni  culturali. Certo Machiavelli  trattò (quasi per inciso) dei fini “dove non è iudizio da reclamare” e riconducibili alla “ragion di stato” (coperta di troppi segreti  ovunque e specialmente da noi). Tutti hanno colto l’occasione per parlare negativamente di lui coniando anche il “dispregiativo” termine “machiavellismo”. Nessuno però ha studiato bene la parte del trattato relativa alle buone leggi ed alle buone armi. E parlando di “armi” sottolinea l’importanza  di utilizzare l’esercito  “Proprio” evitando l’impiego del “Mercenario”, dello “Ausiliario” e del “Misto” che in ogni caso comportano perniciosi effetti collaterali indesiderati. Avessero studiato un poco tutti i signori “Cesare” che opprimono l’Occidente e le italiche terre! Sono sempre in tempo a studiare e scoprire tanti valori ignoti ai più.

   E per finire: “Non olet” (non puzza) disse l’imperatore Vespasiano, con riferimento al denaro che il figlio Tito aveva buttato nella latrina, al termine di una vivace discussione avente per oggetto corruzione (allora come ora) e fognature. Perché qualche presunto studioso (dalla faccia di bronzo) ha attribuito la coniazione della frase a un cardinale medievale? Chissà  forse per coltivare la non-cultura della menzogna e dell’odio.

   Non entriamo per ora negli odierni meandri della quasi universale moda (non modo) di “modellare” fatti e parole secondo le  esigenze della “bottega” propria e/o degli amici.

   Comunque confidiamo sempre in qualche segno di resipiscenza: albergano  ancora in molti animi la libertà ed i buoni costumi.

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