Parla John Turturro, l’eclettico di “Romance & Cigarettes”

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turtbaDi Elena Atalmi

Lo guardi e pensi: “Siciliano”. Invece no, è americano. Il solito figlio d’emigrati, che va a rimpinguare le spesse fila del cinema hollywoodiano. Sua madre era della provincia di Agrigento, il padre pugliese. Ce lo racconta in un documentario del 2011, “Prove per una tragedia siciliana”, dove torna nella terra d’origine materna, per avvicinarsi a una cultura che percepisce familiare.

Mi piace leggere autori italiani e siciliani” confessa “ho voglia di capire questo paese”. Parla John Turturro, l’eclettico, dinoccolato figurino, attore e regista, occhietti vispi, sbarbato, madre lingua inglese con un viso dai tratti meridionali allungati, la pelle olivastra. L’atteggiamento è quello tipicamente spigliato da uomo di mondo, vagamente intellettuale.

turt1L’attore si da il cambio col regista: è la nuova generazione, quella di Tim Roth, Johnny Depp, Steve Buscemi, Vincent Gallo, George Clooney e Ben Stiller, per citarne alcuni. “Volevo raccontare storie, questo l’ho sempre saputo. Non sapevo propriamente che avrei fatto il regista!”. Tratti locali e parlata straniera, in un connubio bizzarro, arricchito da faccette ironiche e buffe, titubanti, accondiscendenti o discordanti: la mimica di Turturro è ben allenata! Ha grande facilità anche nelle lingue: in un film, ci dimostra, se la cava pure col latino, cosa che neanche noi che abbiamo fatto il Classico..! Il suo cinema, che sia attore o regista, è di qualità. Varia, sperimenta, dal comico al tragico senza inciampare, passando addirittura per il musical. La sua miglior qualità? Quella di essere curioso senza il difetto d’essere superficiale: “Impari da tutti coloro che incontri. Se non sei curioso cerchi sempre scorciatoie che ti riportino a casa e in fretta verso le cose che conosci, così perdi il gusto della vita”.

Approda al cinema dopo il teatro, e si ritrova in un business in cui è facile cadere preda delle etichette: “Io l’ho sempre evitato” dice. Alla domanda “cosa le resta da fare?” riflette: “C’è ancora tanto. Invecchiando mi piacciono sempre di più le cose semplici, sfumate, e abbandono le grandi imprese”. E’ una vecchia anima in avanscoperta, innamorata del mondo, timida e spavalda, bisognosa di condividere ed isolarsi, strattonata da pulsioni contrastanti che si contendono brandelli di cuore. Sullo schermo sa tirar fuori una carica aggressiva latente, e riscoprirsi d’un umorismo pungente, giocherellone, che alterna a momenti di grande vulnerabilità: sfaccettato e incompleto.

Niente personaggi statici: è questo il segreto di un bravo attore. E’ mai entrato in conflitto col regista? “Sempre! Siamo persone diverse. L’importante è trovarsi a metà strada: sono io a dover interpretare, quindi devo poter influenzare il mio personaggio, ma in una maniera che piaccia anche al regista”. E in quanto regista lei stesso invece, come si pone? “Sono sempre disponibile all’ascolto, quindi chiedo agli attori la stessa generosità”. Secondo Turturro l’attore contribuisce molto alla creazione del film: “La sceneggiatura è il progetto dell’edificio, tu, attore, sei il mattone. Parte del lavoro è dare un contributo, e per farlo devi sentirti libero”. La libertà, altro elemento cardine: “Se sono aperto ed innocente rimango libero, e libero anche il corpo, che è fondamentale per un attore, vedi i film muti”.

Delle numerose interpretazioni quella in “La tregua” di Francesco Rosi è stata la più difficile: le riprese sono durate ben cinque anni! “C’era una grazia, una gentilezza in quel film che ti faceva dire a te stesso che non potevi tirarti indietro, per quanto fosse duro”. Sulla frenesia americana del fare cassetta ammette: “Tutti hanno bisogno di tempo e di preparazione, e non sempre il cinema te lo concede”.

Si parla di cult, in Italia e all’estero, per un film colossale e stravagante: “Il grande Lebowski”, dei fratelli Coen. “Mi divertivo a scioccarli, non pensavo che avrebbero messo quelle scene nel film!”. Coi fratelli Coen succede spesso, e in seguito lasciò che succedesse ancora, essendo diventato uno dei loro più stretti collaboratori. “Lo scetticismo e il fancazzismo di Lebowski sono quasi una fede qui in Italia!” lo informano i giornalisti. “Davvero?” si sorprende Turturro. I cult non c’è possibilità di riconoscerli in tempo: semplicemente lo diventano.

Importantissimi, a suo dire, sono i compagni di scena: “C’è bisogno di lavorare coi migliori. Essere quello bravo non è un granché!”. “Bisogna imparare a mettere il proprio ego da parte” aggiunge “è una delle grandi difficoltà della vita…”.

turt2Un’altra curiosità: l’amore per il ballo. Che vesta i panni di Jesus Quintana mentre gioca a bocce ne “Il grande Lebowski”, o in compagnia di Fiorello nel documentario su Napoli “Passione”, lo stile di ballo “Turturro” è comico: un concentrato di divertimento maschile nell’uso esagerato del corpo che si contorce come quello d’un ballerino di flamenco ed esibisce a volte una sfrenata parodia della femminilità. Durante il ballo si gioca, come ragazzini!

“Che consigli darebbe a chi vuol fare musical?” …Musical? Turturro si mette una mano davanti alla bocca e ride, d’una risata corposa e gorgogliante. “Ma che ti devo dire?” sembra leggerglisi in faccia “Faccio l’attore!”. Turturro non piroetta, non gorgheggia: balla come ballerebbe il vicino di casa e forse canta sotto la doccia..! “Ehm…” si schiarisce la gola e tenta d’uscirsene con una battuta brillante. Niente. Soffoca un ulteriore scroscio di risa. “Mi piace quando la musica si relaziona alla gente” risponde poi “il trasporto emozionale che suscita. Ti vivifica e racconta lei stessa la storia, non sempre c’è bisogno di parole. Amo l’idea di una musica che faccia da colonna sonora alla vita”.

Questo è ben evidente nel suo esperimento cinematografico e musicale: “Romance & Cigarettes”. Consiglio? Uno solo: “Cerca sempre la contraddizione e uccidi te stesso”. Specifico: non è un inneggio al suicidio, ah! Turturro dice che l’attore deve morire per poi rinascere: recitare per articolare se stessi, sognare ciò che si è o non si sarà mai, non importa cosa resta una volta svegli.

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