Che fine hanno fatto le 220 ragazze rapite da Boko Haram. Un’amara lezione…

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BringBackOurGirlsDi Valter Vecellio

   A suo tempo, un paio di mesi fa, la loro sorte commosse il mondo. Come poteva, del resto, essere altrimenti? 270 ragazze nigeriane rapite, nelle mani di criminale come Abu Bakar Shekau, capo dei Boko Haram, un farabutto che al suo passaggio lascia solo morte e distruzione, dolore e rovine. 270 ragazze che da oltre due mesi vivono e patiscono un vero e proprio inferno, ammesso siano ancora vive. Il loro prezzo oscilla sui dieci euro, per chi le vuole acquistare nei sordidi “mercati” del Camerun e del Niger. Nel frattempo sono condannate a soddisfare istinti e voglie dei loro carcerieri. In cinquanta, giorni fa, in qualche modo hanno beffato i loro aguzzini, sono riuscite a fuggire. E le altre 220? Chi lo sa.

   A suo tempo per queste ragazze si sono mobilitati in tanti. Ce lo ricorda Gian Micalesin sul “Giornale”; una polemica acre la sua, irritante, soprattutto perché non priva di fondamento, un battere là dove più duole il dente: “…Parliamo a tutti voi. Al simpatico gregge di vip e celebrità qualche mese vomitava in coro quel chicchissimo, fichissimo #bringback our girls”. La first lady statunitense Michelle Obama in testa, una quantità di twit, 140 nobili battute. Per qualche giorno. All’apparenza più pragmatico il presidente Obama, vincendo la sua congenita incapacità di assumere decisioni,  inviò in Nigeria un plotone di forze speciali, droni ed esperti di negoziatori. Boko-girlsPoi, distratti da altre disgrazie e vicende, su queste povere ragazze è calato il silenzio. Che fine hanno fatto? Intanto forze speciali, droni, esperti e negoziatori se ne sono tornati a casa; con le classiche pive nel sacco. Shekau, nel frattempo si è fatto vivo con un video “in cui sillabando quel poco d’inglese che conosce canticchia ‘bring back our army’ ridatemi il mio esercito. Una beffa, ma non solo. Per restituire quelle 220 ragazzine la ‘bestia’ che ci s’illudeva di muovere a compassione non s’accontenta più di un semplice riscatto, di una trattativa sommessa. Grazie al valore aggiunto di quella sgangherata mobilitazione via tweet pretende che il governo di Lagos gli consegni tutte le centinaia di suoi tagliagole catturati in questi anni. Solo così libererà (forse) le 220 ragazzine.

La richiesta è stata giudicata irricevibile, impossibile da soddisfare, e ha spinto il presidente Goodluck Jonathan a mettere una pietra tombale sulla faccenda: “Grazie al sensazionalismo esibizionista di Michelle Obama e al vostro pregevole contributo il caso di quelle prigioniere è diventata una missione impossibile…”.

    Conclusione amarissima e non mancherà qualcuno che la giudicherà eccessiva. Ad ogni modo la sorte di quelle ragazze pare non interessare più nessuno. Forse (è quello che si vuole sperare) qualcuno lavora ancora per la loro liberazione e salvezza. Se lo fa, lo fa in silenzio e nel massimo della discrezione, e dovendo certamente pagare prezzi elevati.

   E’ una vicenda che dovrebbe farci riflettere tutti, per le sue implicazioni e sviluppi. Non basta voler fare. Occorre anche saper fare, fare bene; e non è sempre detto che quel “fare” lo si debba far sapere.

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