La grande Titina, cinquant’anni dopo

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La grande Titina regina di un teatro purtroppo morto con lei 

 

titina-de-filippoDi Valter Vecellio

   Il suo vero nome era Annunziata, figlia naturale del grande commediografo e attore Eduardo Scarpetta. Nata a Napoli nel 1898, esordisce a teatro ad appena sette anni, nel ruolo di Peppiniello in quella “Miseria e nobiltà” scritta dal padre, che Totò porta sullo schermo nel 1954. Per tutti era però la “Titina”: sorella e ago della bilancia di due giganti del teatro, Eduardo e Peppino De Filippo, e lei stessa grandissima attrice.

   Riceve un’educazione “borghese”: suona il pianoforte, scrive poesie, dipinge; il francese è la sua seconda lingua, come si conviene per tutte le persone di un certo rango; ma è il teatro, la sua vera passione. Sotto lo sguardo protettivo del padre, comincia a calcare le scene. Lo ricorda così: “Acquattato presso la buca del suggeritore, c’è un uomo dal volto mobilissimo…E’ autorevole, nervoso, gesticolante, autoritario con tutti. Avevo terrore persino del suo sguardo…”.

   Peppino_Titina_e_Eduardo_alla_radioÈ a teatro, che incontra l’uomo della sua vita: quel Pietro Carloni, erede di un’altra grande famiglia di attori napoletani, lo sposa nel 1922 e da cui avrà un figlio, Augusto. Sempre nel 1922 comincia il sodalizio con il fratello Eduardo. Poi sono raggiunti da Peppino: i tre fratelli costituiscono un sodalizio formidabile, “Il teatro Umoristico. I De Filippo”. Racconta: “Si può dire che li vedevo per la prima volta. Prima di quel momento confesso di non averli mai conosciuti veramente. Quei ragazzi scorbutici, chiusi in loro stessi, avevano vissuto un’infanzia curiosa, particolare”. Già: perché i tre De Filippo, figli di Scarpitta e della giovane nipote della moglie, appartenevano a quella che oggi si direbbe “famiglia aperta”. Scarpitta, era sì sposato con Rosa De Filippo, ma i figli li aveva avuti con la giovane nipote di lei. Le due famiglie erano vicine di casa, e tra loro in buoni rapporti. Quando il padre partiva per le sue tournée, tutta la tribù lo seguiva; tutti sapevano di questi legami, e lo vivevano con “naturalezza”. Almeno apparente.

Era tutt’uocchie/e chelli mmane/asciute e bianche,/bianche ‘e chiullu biancore d’ ‘a magnolia,/che sapevano fa’!

    Sono versi di una poesia che le dedica Eduardo. “Sono gli anni in cui Napoli è nel pieno del suo sviluppo artistico e culturale”, racconta il figlio Augusto in una biografia dedicata alla madre. “I punti di riferimento erano personaggi come Roberto Bracco, Rocco Galdieri, Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo, Eduardo Scarfoglio, Matilde Serao…”.

   I tre De Filippo fanno furore, ma qualcosa col tempo si spezza; la compagnia di si divide, ognuno segue strade diverse; poi, nel 1932 provano a ricominciare, “benedetti” dal più autorevole critico del momento, Renato Simoni, “pontefice” massimo teatrale del “Corriere della Sera”. Una cena al Savini di Milano, suggellata da un brindisi: “Ragazzi, non vi dovete dividere più. Il vostro è un successo di blocco…”.

   “Il blocco” dura appena qualche anno. Racconta Titina: “Tornai convinta che sarebbe stato per poco. Dopo qualche tempo fu la volta di Peppino. L’incanto era rotto, il blocco infranto, spezzato; non esisteva più”.

   Finita la guerra, Eduardo mette in scena al San Carlo “Napoli milionaria”. Eduardo è il primo autore che racconta la tragedia della guerra vista con l’occhio dei civili, sprofondati in una società degradata, una città che sembra aver perso ogni speranza e invece no, vuole rialzare la testa, spera ancora in un futuro e non si arrende. Dopo “Napoli milionaria”, ecco “Questi fantasmi”, e infine “Filumena Marturano”, personaggio straordinario e complesso, il ruolo sognato e bramato da ogni attrice degna di questo nome. Titina interpreta Filumena in modo straordinario, magistrale, la sua recitazione è essenziale, “naturale”, nulla concede al manierismo e alla retorica. Lei ormai è un’attrice matura, capace di interpretare parti comiche e drammatiche, affronta generi leggeri come la farsa e la rivista, e commedie a tinte forti. Quando si tratta di interpretare “Filumena Marturano, sa imporsi al pur forte e intransigente fratello Eduardo, che però alla fine capisce e la lascia recitare come vuole. “Eccolo il mio personaggio”, scrive dopo il debutto all’Eliseo di Roma. “Ecco, così ti volevo: violenta, fredda, calma, tragica, comica. Ah! Filumena, ti tengo, ti tengo. Non mi scappi più! Ti porterò con me tutta la vita”.

   Il pubblico quando la vede impazzisce, gli applausi scrosciano inarrestabili, a Milano per ben trentadue volte è chiamata al proscenio. Un successo di cui si era persa la memoria. Peccato che la salute non regga. Nel 1948 una forte bronchite e un collasso rischiano di esserle fatali. Poi c’è il cuore…

   Titina dirada i suoi impegni. Si dedica all’altra sua passione, la pittura. Racconta il nipote Luca De Filippo: “Inizia a dipingere, e crea quadri formati da pezzetti di carta colorata. La vedevo creare i suoi bellissimi collages, ritagliare con attenzione quei pezzettini di carta colorata per dagli vita, con cura…”. Espone a Parigi, e Jean Cocteau va in visibilio: “Questi pezzetti di carta che arrivano da tutte le parti, finiscono per obbedirvi e assomigliarvi…”.

   Ma c’è come un tarlo che corrode dentro. “Mi sento”, confessa, “come un corpo senz’anima, condannata a una atroce immobilità…Non mi so rassegnare…”. E infatti, torna a recitare, qualche commedia, qualche film, anche in televisione: il “Musichiere”, il “Novelliere”, le trasmissioni di allora. Accetta perfino un’offerta di candidatura che le viene offerta da Guido Gonella, nelle liste della Democrazia Cristiana, come indipendente. Capisce subito che quel mondo non è il suo, la politica non è la sua vocazione, si ritira subito. Scrive una commedia, “Virata di bordo”, che dice molto di lei, di quello che sente e vive. Poi decide che è davvero giunto il momento di ritirarsi, il sipario è calato definitivamente. Trascorre gli ultimi anni quietamente, dedicandosi al volontariato, fino a quando il 26 dicembre di cinquant’anni fa un infarto la stronca.

   Al suo funerale, a Napoli, Vittorio De Sica, Totò, i due fratelli naturalmente, Nino Taranto…quel mondo che lentamente scompare; e quella Napoli che si è dissolta e non c’è più. L’inglese Arthur Spurle, accanito collezionista e grande appassionato della canzone e del teatro napoletani, scrive quello che forse è il più bel necrologio: “Si chiamava Titina De Filippo, ma il cognome nessuno glielo usava: dicevano tutti, solamente, “La Titina”.

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