L’invadenza dell’Eni non era certo gradita

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Mattei veniva considerato dagli americani sempre più un uomo molto pericoloso 

Era il marzo del 1957. Agli americani l’invadenza dell’Eni non era certo gradita: Mattei si era trasformato sempre più in un uomo estremamente pericoloso. L’accordo con la Libia non passa a seguito delle pressioni americane. Mattei si lancia all’attacco: nel 1960 conclude con la Tunisia un accordo per la definizione della costruzione e della gestione di una raffineria e per un permesso di ricerca, sempre nel Sahara. Stipula accordi anche con altri Paesi africani, dalla Somalia alla Nigeria, dal Marocco al Ghana, al Kenia, all’Uganda. L’Eni cresce smisuratamente e, pur essendo azienda di Stato, chiude bilanci con utili diretti e netti (quello derivante dalla differenza fra il prezzo di produzione e il prezzo politico di vendita) calcolati in oltre quaranta miliardi annui, molti dei quali reinvestiti.

Per Mattei, comunque, c’è sempre la necessità di trovare nuovo greggio ed al prezzo più basso. L’opportunità gli viene offerta dall’Unione Sovietica, con la quale raggiunge un accordo sostanzioso che segnala la definitiva rottura tra Eni e le Compagnie americane. Mattei si trova, pertanto, con Francia, America e cartello petrolifero alle costole; non a caso un americano appartenente alle alte sfere di una delle massime Compagnie petrolifere, il 12 settembre del 1960 a Piacenza, in occasione dell’VIII Congresso dei petroli, affermerà che «non riusciva a capire come mai nessuno avesse ancora trovato il modo di fare uccidere Mattei».

In quei giorni i quotidiani francesi accusano apertamente il presidente dell’Eni di finanziare e fornire armi ai guerriglieri del Fronte Nazionale di Liberazione algerino.

Alla fine del 1995, dopo 33 anni d’indagini e d’inchieste pubbliche che non avevano prodotto alcun risultato, grazie alla perizia ordinata dalla Procura di Pavia, sarà accertato che l’aereo di Mattei è esploso in volo “a causa di una carica di cento grammi di Compound B (potente e dirompente esplosivo) posta dietro il cruscotto dell’aeromobile, collegata con il congegno d’apertura del carrello, in modo da esplodere poco prima dell’atterraggio”. Questa carica di esplosivo sarebbe stata posta sul velivolo durante la sosta a Catania.

Dopo le minacce ricevute, e tenuto conto dei pericoli che correva, Mattei aveva rafforzato le sue misure di sicurezza affidando il delicato servizio “personale”ad un uomo di sua fiducia, l’ex partigiano Rino Pacchetti, medaglia d’oro della Resistenza, suo antico compagno nella lotta clandestina. Ebbene, alla vigilia dell’ultimo viaggio in Sicilia di Mattei a Pacchetti viene revocato l’incarico con l’ordine di sospendere ogni sorveglianza, che sarebbe rimasta affidata solo agli uomini dei servizi segreti delle Forze armate, agli uomini del Sifar. Un caso identico a quello già verificatosi nella primavera precedente, quando al motorista di fiducia del pilota Irnenio Bertuzzi, Erminio Loretti, venne revocato l’incarico del controllo del “Morane Saulnier”e trasferito in altra sede. Erminio Loretti e il figlio Marino periranno in un incidente aereo, a bordo di un “De Havilland”di loro proprietà, il 12 agosto del 1969.

Per il giudice Calia anche gli avvenimenti che precedettero il sabotaggio del velivolo dell’Eni a Catania e le susseguenti morti sono collegate al caso: c’era chi aveva progettato la fine di Mattei in tutti i particolari senza trascurare nulla.

Quanto si verificò all’aeroporto di Fontanarossa è ancora avvolto nel mistero, nonostante che il quadro complessivo appaia chiaro. Gli avvenimenti di quel 27 ottobre del 1962 a Fontanarossa, probabilmente, cambiarono le sorti dell’Italia politica ed industriale.

A distanza di decenni il “Caso Mattei” potrebbe apparire come un thriller che non lascia risposte, se non alla immaginazione di chi vorrebbe veder risolto il “mistero” della fine del presidente dell’Eni, circondata da tante morti o scomparse di personaggi (come quella del giornalista Mauro De Mauro, che di Mattei si stava occupando) che non hanno avuto spiegazioni. A riattivare l’attenzione, a nostro avviso, basterebbe riflettere su quanto sta accadendo nelle terre del petrolio (dalla Libia, all’Egitto, alla Tunisia, eccetera), e notare come alla base (elemento, però, che non appare e non si fa apparire, se non per le ripercussioni che hanno le rivolte sul mercato internazionale) ci stia sempre “l’oro nero”. Quello stesso “oro nero” che le grandi Compagnie petrolifere internazionali stanno cercando in Sicilia e nelle acque dell’Isola. Quello stesso “oro nero” che aveva improntato la vita di Enrico Mattei e di quanti, ancora oggi, vogliono arricchirsi sfruttando le risorse altrui. Riuscire a scoprire i meccanismi dell’attentato al presidente dell’Eni, significherebbe scoprire esecutori e mandanti. Ma appare chiaro che gli interessi che hanno coperto quel tragico “incidente” di Bescapè sono ancora adesso enormi, tanti da lasciare la questione nell’oblio dei libri che possono essere pubblicati.

Salvo Barbagallo

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